Still Life racconta due tristi storie d’amore e lontananza ambientate nella zona meridionale della Cina chiamata «Le tre gole». Luoghi in grande trasformazione per la costruzione d´una mastodontica diga sul fiume Yangtze destinata a creare un bacino di circa
Han Sanming è un uomo che giunge nel villaggio di Fengjie per ritrovare la figlia che non ha mai visto, ma si ritrova a lavorare come demolitore per potersi permettere il soggiorno.
Shen Hong, invece, è un’infermiera alla ricerca del marito, ingegnere a Fengjie, che non vede da due anni e sul quale scoprirà verità poco piacevoli che la porteranno a un’importante scelta di vita.
Due tristi storie d’amore narrate con uno stile essenziale e minimalista fanno da contrappunto a uno spaccato sulla realtà sociale della Cina odierna, ritratta dal regista cinese di Dong (documentario presentato a Venezia nella sezione Orizzonti) attraverso i toni spenti e opachi di un paesaggio grigio e umido, specchio delle due anime inquiete protagoniste del film.
In questo scenario arido, quasi apocalittico, ritratto dal regista con timore e sentita partecipazione attraverso una macchina da presa delicata e spesso immobile, si consumano due storie sommesse, sussurrate e silenziose. La camera segue il tono emotivo, sempre contenuto, della vicenda, accordandosi ai sentimenti di due protagonisti che mai urlano il proprio dolore; ma l’impressione che deriva da queste immagini suggestive e poetiche (come quella finale che ritrae un equilibrista sospeso sullo sfondo di uno scenario desolato) è di generale e diffusa freddezza. Freddezza che, insieme all’acqua che ha sommerso il villaggio di Fengjie, pare aver investito il cuore dei suoi abitanti e dei due visitatori.
Il film, prodotto in Cina e diretto da Jia Zhang-Ke, è approdato allo scorso festival di Venezia all´ultimo momento e ha portato a casa il Leone d´oro della giuria presieduta da Catherine Deneuve.
Giovanni Scotti
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