Il volume di Luigi Furini (1954), che ha lavorato a lungo in giornali locali, dalla catena di «Diario» ai quotidiani del Gruppo Espresso, per il quale lavora anche oggi, non è un trattato di economia del lavoro. È il resoconto di due anni impossibili, con tanti aneddoti spassosi. Eroica e sfortunata protagonista, una piccola società che «voleva solo vendere la pizza». Dove è più facile aprire un’impresa? In un paese dove si possono fare affari con relativa semplicità.
Nella classifica della Banca Mondiale, l’Italia è all’82º posto, dopo il Kazakhistan,
Un giornalista prova a diventare imprenditore: segue i corsi di primo soccorso, quello antiincendio, quello sulla prevenzione degli infortuni. Frequenta commercialisti e avvocati. Informa le lavoratrici gestanti dei rischi che corrono, ma solo quelle di età superiore ad anni 52. E poi c’è l’ASL con tutti i regolamenti sull’igiene e l’obbligo di installare e numerare le trappole per topi (non basta il topicida, vogliono fare una statistica?). C’è persino il decalogo che insegna quando bisogna lavarsi le mani.
Compra centinaia di marche da bollo, compila (e paga) un’infinità di bollettini postali.
Sei mesi dopo e con centomila euro di meno, apre finalmente l’attività: un piccolo negozio di pizza d’asporto. Ma a quel punto si trova a dover fare i conti con i cosiddetti “lavoratori” e con i sindacati.
Dopo due anni infernali, chiuderà bottega: non è “sfiga”, è il sistema.
L’eccessiva rigidità nei rapporti di lavoro porta a un eccesso di flessibilità? Le leggi troppo restrittive spingono inevitabilmente verso l’economia sommersa e il lavoro nero? Sono i temi di discussione in questi mesi caldi, mentre si parla di riforma della Legge Biagi.
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