25 fotografie in bianconero e alcuni frammenti scritti di Caterina Carzedda. Fotografia e parola, due mezzi di comunicazione liberi e distinti, capaci però di interagire l’uno con l’altro senza soluzione di continuità.
Sulcis la miniera interrotta, ultimo lavoro di Fausto Foddai è un viaggio attraverso un vissuto ormai interrotto che racconta la dimensione umana della miniera, con le sue macchine, gli spazi istituzionali, quei luoghi che, attraverso l’esperienza quotidiana, hanno lasciato un segno indelebile nella realtà sociale della Sardegna.
L’immagine, colta in un istante determinato nel tempo, non viene stigmatizzata sulla carta, ma trasmette, mobile, lo svolgersi di un percorso emozionale capace di parlare al visitatore delle devastazioni di una storia che ha lasciato solo rovine per coloro che cercano il passato.
Fausto Foddai nasce in Sardegna, dove la sua passione per la fotografia ha modo di crescere e vivere tra contesti difficili, aspri, immuni da sfumature delicate, forte nelle immagini e nelle espressioni. Trasferitosi a Milano nel 1990, qui studia fotografia e il suo percorso sviluppa il desiderio di trasmettere il racconto della sua terra. La sua fotografia, a volte incantevole, altre graffiante, rappresenta in maniera sensibile e soggettiva le problematiche della terra sarda. Fotografie appassionate, sincere, che portano mente e cuore alla deriva in uno splendido spaccato di immagini dove si può scoprire la grandiosità della natura selvaggia da un dettaglio e dove l’impronta umana è traccia indelebile. Fausto Foddai espone, nel maggio del 2003, il progetto “RACCONTI DI MARE E DI VENTO” – vista sul paesaggio sardo – presso gli spazi espositivi della Scuola di Fotografia del CEP di Milano. L’esposizione è ripetuta nei mesi di maggio e giugno 2004 allo Spazio Tao di Milano e, a novembre, proposta da Enrica Viganò, al festival internazionale di fotografia PHOTO&FOTO di Cesano Maderno, nella sezione “OFF”, nei mesi di luglio e agosto 2008 all’Acquario e Civica Stazione Idrobiologica di Milano.
Le fotografie sono state realizzate nella regione del Sulcis-Iglesiente, a sud-ovest della Sardegna. Già nel Neolitico, i primi abitanti dell’isola trovarono nell’ossidiana la materia con la quale produrre i loro arnesi. Sarà invece la civiltà nuragica che per prima scoprirà l’impiego del metallo, specialmente il rame e lo stagno, dalla cui elaborazione nasceranno gli essenziali bronzetti. Tale prototipo di attività mineraria si inserisce in un contesto di utilizzazione del territorio circoscritta alle necessità contingenti. Con la dominazione romana ebbe, invece, spazio un concetto definito di sfruttamento della materia indotto dalle nuove tecniche di estrazione e da un’ottica di uso del minerale estratto al di fuori dei confini del luogo di estrazione. L’attività mineraria alternò in Sardegna periodi di fulgore a lunghi secoli di stasi. Le dominazioni che si susseguirono considerarono anche i bacini minerari come territorio da conquistare e consumare, catalizzando la totale attività delle genti che abitavano le zone interessate così da renderle completamente dipendenti dall’esterno per qualunque altra loro esigenza. Quando, sotto i Piemontesi, i giacimenti isolani conobbero nuovo impulso in virtù della ripresa economica europea, la manodopera impiegata nei pozzi aumentò, inglobando al suo interno migliaia di contadini e pastori, spinti dalla grande crisi delle campagne a cercare occupazione nell’industria estrattiva. Le maestranze minerarie isolane erano in realtà sottoproletariato rurale impegnato in mansioni generiche, mentre la specializzazione dei ruoli fu affidata a lavoratori provenienti dal continente. L’incremento produttivo delle miniere (soprattutto quelle ubicate nel Sulcis-Iglesiente) andava di pari passo con il sensibile peggioramento delle condizioni lavorative dei minatori. Turni di lavoro massacranti, senza riposo settimanale e diritto alle ferie, remunerazioni pagate ad arbitrio del concessionario, malattie e infortuni costanti, indussero i lavoratori ad azioni di lotta spesso spontanee e non organizzate e, non di rado, represse con la forza. Il 4 settembre 1904, a Buggerru, intervenne l’esercito a sedare uno sciopero che durava oramai da cinque giorni: tre operai rimasero uccisi, più di dieci feriti. Dal 1930 inizia la lunga crisi del comparto minerario sardo: chiudono i primi giacimenti e vengono progressivamente ridotte le maestranze. Al finire della seconda guerra mondiale, le miniere poterono continuare a produrre grazie alla richiesta di materia prima legata alla ricostruzione del paese. Tuttavia, già dalla fine degli anni ’50, a causa di una congiuntura internazionale sfavorevole, molte miniere dovettero decretare la loro chiusura. Nel 1968, fu fondato l’Ente Minerario Sardo, sotto il controllo della Regione, allo scopo di interrompere il processo di declino dei giacimenti sardi. Nonostante l’intervento del capitale pubblico, però, la situazione continuò a peggiorare e la crisi investì anche le miniere di carbone. Nei primi anni ’80, il comparto minerario fu rilevato dall’ENI ma, oramai, la condizione produttiva era irrimediabilmente compromessa. Nel 1995 chiuse definitivamente anche l’ultima miniera. Nel 1997 l’UNESCO decreta l’area mineraria del Sulcis-Iglesiente patrimonio dell’umanità. Ancora oggi, però, il primo Parco Geominerario Storico e Ambientale del mondo, attende, incompiuto, una piena realizzazione. Ciò che rimane, invece, è un territorio depredato e i fantasmi di quanti, ancora, vagano nelle buie gallerie abbandonate.
Acquario e Civica Stazione Idrobiologica Milano - Viale Gadio 2 Milano 20121 - tel +39 0288465750 - www.acquariocivicomilano.eu - info@acquariocivicomilano.eu.
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