Il Kioke Miso è una novità assoluta per le tavole italiane

Il condimento Kioke Miso giunge a Milano

  Food and beverage  

Lo scorso 31 ottobre, a Milano, presso il SAKEYA (Via Cesare da Sesto 1), bistrot/area lounge giapponese di lusso, con snack originali, sakè in abbinamento e una corposa carta di liquori, è stato presentato il Kioke Miso, un condimento prezioso, che, dal XV secolo, vale a dire oltre 500 anni, è un pezzo della tradizione.

Il Kioke Miso, lo sottolineiamo, è un’assoluta novità non solo per le tavole italiane ed europee, ma anche per i più autentici ristoranti giapponesi in Italia: finora, infatti, non è mai stato importato e distribuito nel nostro Paese.

La salsa di soia è entrata ormai a far parte della cultura italiana, non soltanto per condire ed accompagnare piatti di cucina giapponese, domani o molto presto, lo stesso ruolo lo potrebbe ricoprire il Kioke Miso, il “Wooden Barrel Miso”.

Per questo il Consorzio dei Produttori, e, in particolare, a Wadaya (Fukushima), Sato Jozo (Aichi), Ishimago Honten (Akita), ha deciso di iniziare ad investire nel mercato italiano, visto anche il costante e crescente successo del Sake, con l’obiettivo di iniziare a diffondere un concetto importante legato alla fermentazione, ovvero che questo non è esclusivamente legato a un processo alcolico e ha profonde radici nella tradizione.

Da dove parte la tradizione?

Si dice che la salsa di soia e abbiano avuto origine dall'hishio, un condimento introdotto dalla Cina circa 1.200-1.300 anni fa. Era apprezzato solo dagli aristocratici e dai preti buddisti, successivamente si adattò al clima giapponese e, circa 500 anni fa, divenne il condimento fermentato tipico del Giappone, simile alla salsa di soia e al miso di oggi. Nel 701 la parola "salsa di soia” apparve nel Codice Taiho per la prima volta, mentre nel 901 la parola "miso" apparve nel Sandai Jitsuroku. E', però, nel periodo Edo (1603 - 1868) che il Miso diventò un alimento popolare.

Ma come nasce il Kioke Miso?

Gli ingredienti per il Kioke Miso sono molto semplici: koji, sale e soia.

Possono essere utilizzati differenti tipi di koji, ovvero riso, orzo (utilizzato nelle aree del Kyushu e del Shikoku) e soia (principalmente nel Aichi, Mie e Gifu).

Il koji è una sostanza fermentata, un fungo, una sorta di muffa che viene solitamente ricavata da un cereale, appunto riso, orzo o soia. Ogni regione ha un tipo specifico di koji che preferisceutilizzare per creare unicità regionale nel sapore del proprio miso.

Si parte dalla fermentazione della soia con lo stesso procedimento utilizzato per il sake, dove il koji, “mangiando” il carboidrato, crea una fermentazione non alcolica. Differenza importante: per evitare che i batteri mangino ed eliminino lo starter, nel sake si genera una acidità lattica naturale, mentre per arrivare al Kioke Miso si usa il sale come fattoreprotettivo. Durante il processo di fermentazione avviene quindi una separazione, una parte che va in superficie che non è altro che salsa di soia, mentre ciò che si deposita sul fondo diventa pasta di miso. Solo il 2% della produzione viene fatto artigianalmente con il procedimento “wooden barrel”.

Kioke, lo precisiamo, significa fatto in legno e definisce appunto le tini di legno come contenitore imprescindibile per ottenere questo prodotto di qualità. Le botti di legno sono ricavate da alberi di cedro (per la maggior parte) di oltre 100 anni e sono assemblate a mano con strisce di bambù intrecciate chiamate taga, senza l'uso di colla o chiodi. Vengono utilizzate per più di un secolo, durante il quale costruiscono lentamente ma inesorabilmente un ecosistema di microbiomi, noti collettivamente come "lievito kuratsuki", che è unico per ogni birrificio di miso. L'equilibrio ecologico del lievito kura-tsuki differisce da birrificio a birrificio e, in definitiva, influenza vari aspetti del miso, dando vita a sapori unici come banana matura, ananas, noci saporite e cioccolato. La grandezza della botte, il tempo di “custodia” e la % di sale sono le variabili che differenziano in modo significativo un produttore da un altro, il legno trasferisce pregi edifetti e, a cascata, il gusto e la complessità maturano ed evolvono nel tempo, un’evoluzione organolettica molto simile anche in questo caso a quella del sake. Questo si traduce anche in colori differenti, partendo da un colore chiaro che è sinonimo di più dolce, meno invecchiato (circa 1 mese) e con una quantità di sale inferiore, fino a colori più intensi e scuri che sono tipici dei più invecchiati (fino a oltre 1 anno). Una percentuale tra 5-7% di sale produce Miso dolce, tra 7-11% Miso medio, tra 11-13% Miso salato.

L’utilizzo e la finalità in cucina è lo stesso di un condimento, con la differenza sostanziale che parliamo di qualcosa di molto umami, che dona un sapore deciso a piatti e ingredienti. E’ maestoso, complesso, variegato, simile all’utilizzo dell’aceto balsamico che viene fatto nella cucina italiana.

Troviamo produttori di Kioke Miso sparsi in tutto il Giappone, tredici dei quali sono i più rappresentativi del Consorzio del Kioke Miso e per la quasi totalità parliamo di piccoli lotti e produzioni.

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