Pronuncia n. 19161/14 della Corte di Cassazione

ReLicense commenta la recente sentenza su software preinstallato e indesiderato

  Nuove Tecnologie  

La terza sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 19161 dell’11 settembre 2014, si è pronunciata in merito ad una problematica connessa alla vendita di personal computer e licenza d'uso di sistema operativo. La Corte ha stabilito che il software, anche quello che viene venduto precaricato, non è parte integrante del PC: se non è desiderato dall’acquirente, deve essere rimosso ed il produttore è obbligato a rimborsare l’acquirente del costo sostenuto per il sistema operativo.

Chi acquista un computer sul quale sia stato preinstallato dal produttore un determinato software di funzionamento (sistema operativo) - ha affermato la Corte - ha il diritto, qualora non intenda accettare le condizioni della licenza d'uso del software propostegli al primo avvio del computer, di trattenere quest' ultimo restituendo il solo software oggetto della licenza non accettata, a fronte del rimborso della parte di prezzo ad esso specificamente riferibile. La Cassazione ha anche confermato 140 euro di rimborso al consumatore fiorentino, che aveva adito la magistratura.

Ad avviso della Cassazione, nell'accertata assenza di controindicazioni tecnologiche, l'impacchettamento alla fonte di hardware e sistema operativo Windows-Microsoft (così come avverrebbe per qualsiasi altro sistema operativo a pagamento) risponderebbe, infatti, nella sostanza, ad una politica commerciale finalizzata alla diffusione forzosa di quest'ultimo nella grande distribuzione dell'hardware (quantomeno in quella, largamente maggioritaria, facente capo ai marchi Oem più affermati). - prosegue la Corte - In questo modo, si verificherebbero riflessi a cascata in ordine all'imposizione sul mercato di ulteriore software applicativo la cui diffusione presso i clienti finali troverebbe forte stimolo e condizionamento, se non vera e propria necessità, in più o meno intensi vincoli di compatibilità ed interoperabilità (che potremo questa volta definire 'tecnologici ad effetto commerciale') con quel sistema operativo, almeno tendenzialmente monopolista. Questa è una evenienza - prosegue la Cassazione - a tal punto concreta da essere già stata fatta oggetto sotto vari profili di interventi restrittivi e sanzionatori da parte degli organismi antritust Usa e della stessa Commissione Ue. L'intervento della Suprema Corte si inscrive nello stesso solco di quelle delle autorità statunitensi e comunitarie a tutela del libero mercato.

Già nel luglio 2013 la Corte di Giustizia Europea aveva stabilito che è perfettamente legale la pratica della compravendita del software di seconda mano. E’ lecita la rivendita delle licenze aziendali, tipicamente vendute in blocco, da un’azienda che non ne ha più necessità ad altre realtà che, invece, ne hanno bisogno. Se l’acquirente singolo ha la sola possibilità di rifarsi sul produttore chiedendo il rimborso del costo sostenuto per il cosiddetto OEM, l’acquirente aziendale può, invece, farle fruttare immettendole sul mercato del software usato e incassando, quindi, un importo in denaro. A fronte di questo incasso, inoltre, consentirà ad altre realtà aziendali di accedere a licenze genuine a costi più bassi anche del 70% rispetto a quelle nuove.

In un momento in cui i budget aziendali sono spesso limitati, vendere licenze software non utilizzate può offrire alle imprese uno strumento in più per finanziare la crescita e supportare le proprie attività quotidiane. - afferma Corrado Farina, Country Manager Italia, ReLicense - Alla base di tutto è fondamentale avviare un auditing interno, teso all’identificazione delle licenze software presenti - nuove o meno recenti - e del loro effettivo utilizzo, per poi intraprendere un processo destinato a monetizzare queste risorse, con vantaggi economici e gestionali non indifferenti. - prosegue Farina - Anche la conformità alle norme è garantita: la cessione delle licenze, infatti, avviene solo dopo la verifica della piena titolarità del diritto d’uso in capo al primo acquirente. - conclude Farina - Alcuni analisti stimano in oltre 1 miliardo di euro il valore complessivo di licenze software comprate ma non utilizzate dalle aziende europee, parlando specificatamente dell'Italia questa sentenza potrebbe dare una spinta a conoscere e approfondire il mercato del software di seconda mano nel nostro Paese, con tutte le opportunità che ne derivano e che ad oggi non sono sfruttate appieno dal settore IT.

Giovanni Scotti

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