La Settimana Mondiale della Tiroide

22/05/2021


Martedì 18 maggio, in diretta streaming, è stata presentata, con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, la nuova edizione della Settimana Mondiale della Tiroide, in programma da lunedì 24 a domenica 30 maggio.

Il tema scelto per la Settimana Mondiale della Tiroide 2021, sostenuta con un contributo incondizionato da Ibsa Farmaceutici Italia, Merck Serono ed Eisai. è “TIROIDE E PANDEMIA DA COVID” per fare chiarezza, vale a dire cercare di dare risposta alle tante domande che le persone con una malattia tiroidea si fanno in questo periodo e individuare quali siano le patologie tiroidee che possano rendere il paziente più ‘fragile’ nei confronti della malattia da Sars-CoV2.

Il principale obiettivo della Settimana Mondiale della Tiroide 2021, dunque, è sensibilizzare la popolazione in merito ai problemi connessi alle malattie della tiroide e alla loro prevenzione.

Di seguito proponiamo alcuni passaggi della conferenza, nel corso della quale hanno preso la parola Antonella Olivieri dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), Luca Chiovato, presidente dell’Associazione Italiana della Tiroide (AIT), Francesco Giorgino della Società Italiana di Endocrinologia (SIE), Franco Grimaldi dell’Associazione Medici Endocrinologi (AME), Maria Cristina Vigone della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), Maria Cristina Marzola dell’Associazione Italiana Medici Nucleari (AIMN), Celestino Pio Lombardi della Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia (SIUEC), Fabio Monzani della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) ed Francesco Frasca dell’European Thyroid Association (ETA) ed Anna Maria Biancifiori del Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini (CAPE). Gli interventi sono stati moderati dalla giornalista Annalisa Manduca, di Rai Radio 1

Luca Chiovato, non solo presidente dell’AIT ma anche coordinatore e responsabile scientifico della Settimana Mondiale della Tiroide, ha dichiarato: Con la pandemia è ancora più importante mantenere in buona salute la tiroide rivolgendosi al proprio medico senza trascurare alcun campanello di allarme. Questa ghiandola svolge importanti funzioni per il nostro organismo come la regolazione del metabolismo, il controllo del ritmo cardiaco, la forza muscolare e il corretto funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico. Per converso, la malattia da Covid-19 può alterare la funzione tiroidea creando ulteriori problemi diagnostici e terapeutici.

Francesco Frasca, rappresentante dell’ETA, ha spiegato: Per i pazienti con morbo di Basedow, la pandemia ha rappresentato un’ulteriore difficoltà in un percorso già ad ostacoli. Il morbo di Basedow si manifesta con un eccesso di ormoni tiroidei e il processo infiammatorio che ne è la causa può estendersi anche all’orbita causando il quadro clinico comunemente noto come ‘esoftalmo’. In questi casi bisogna fare molta attenzione anche alla vaccinazione anti- Covid-19 perché la terapia tipica dell’orbitopatia Basedowiana, i cortisonici ad alte dosi per via endovenosa, può vanificare l’effetto del vaccino se questo è somministrato durante il ciclo terapeutico. La cura dell’ipertiroidismo causato dal morbo di Basedow richiede poi controlli clinici frequenti per aggiustare la terapia che, durante le fasi più acute della pandemia, sono stati più difficili da attuare sia per l’impegno degli endocrinologi nell’emergenza Covid, sia per le difficoltà di accesso ai servizi ospedalieri. Per assicurare la cura dei pazienti si è fatto ricorso alla telemedicina nelle sue varie forme e, talora, all’utilizzo di schemi terapeutici, come quello basato sulla contemporanea somministrazione di farmaci anti-tiroidei ad alta dose e tiroxina, che consentono controlli clinici meno ravvicinati.

Emma Bernini, Presidente dell’Associazione Basedowiani e Tiroidei, ha aggiunto: Il paziente con orbitopatia di Basedow è un paziente molto fragile, spesso gravato da ritardi diagnostici e terapeutici a causa della complessità della sua malattia che richiede il supporto di un team medico multidisciplinare (endocrinologo, oculista, radiologo-radioterapista, chirurgo orbitario, chirurgo plastico). In questi pazienti, la maggior parte dei quali sono donne, il danno non è soltanto funzionale sino, nei casi più gravi, alla perdita della vista, ma anche estetico, a causa della sporgenza degli occhi e alla conseguente deformazioni dei tratti del volto. Ciò comporta una dolorosa perdita di identità che si aggiunge alle manifestazioni tipiche della malattia. Una volta controllato l’ipertiroidismo e il processo infiammatorio, la chirurgia “ricostruttiva” dello sguardo e del volto deve quindi essere considerata un irrinunciabile completamento della cura. È quindi auspicabile che il preannunciato potenziamento del servizio sanitario nazionale porti alla creazione di questi team multidisciplinari in sempre più ospedali. La pandemia ci ha infatti insegnato come siano difficili i viaggi della speranza nei pochi centri specializzati spesso presenti in regioni lontane.

Franco Grimaldi, Presidente dell’AME, ha detto: La pandemia da Covid-19 ha sollevato ulteriori quesiti in relazione al trattamento dei pazienti con patologia oncologica tiroidea, soprattutto nei casi di tumori più aggressivi o avanzati che richiedano farmaci di ultima generazione e, al fine di ridurre il rischio di contagio nelle strutture ospedaliere, vengono raccomandati per questi pazienti percorsi di diagnosi e cura protetti. In particolare, nei pazienti con carcinoma tiroideo avanzato e in terapia con gli inibitori delle Tirosin-kinasi (TKI) bisogna considerare alcuni importanti aspetti: se questi vengono colpiti da malattia infettiva Covid-19 devono essere considerati pazienti fragili e con un maggior rischio di esiti negativi, compresa la possibilità che l’infezione possa aggravare ulteriormente gli effetti collaterali dei TKI. Questi pazienti inoltre richiedono un continuo monitoraggio clinico, biochimico e strumentale. In ambito pandemico la telemedicina ha svolto un importante un ruolo di supporto evitando l’accesso del paziente negli ospedali e riducendo così il rischio di contagio. Contestualmente è stato possibile assicurare il supporto necessario per controllare gli effetti collaterali e ottenere l’aderenza alla terapia. Ai pazienti in trattamento attivo deve essere offerta la vaccinazione SARS-CoV2. Quando possibile, la somministrazione del vaccino deve essere eseguita prima dell'inizio della terapia oncologica”.

Francesco Giorgino, Presidente della SIE, ha detto: La tiroidite di Hashimoto, molto frequente soprattutto nelle donne, pur essendo di natura autoimmune, non è una malattia sistemica e non richiede per il suo trattamento farmaci immunosoppressori; quindi, non espone chi ne è affetto ad un più alto rischio di sviluppare una malattia grave da Covid-19. Fanno eccezione a questa regola i casi in cui la tiroidite di Hashimoto si associa a due malattie endocrine che più gravemente impegnano l’organismo e il cui trattamento è molto più complesso: il diabete mellito di tipo 1, cioè quello che solitamente colpisce i bambini, i ragazzi e i giovani adulti ed è insulino-dipendente, e la malattia di Addison, che compromette un asse endocrino critico per la sopravvivenza in caso di malattie gravi intercorrenti come quella da Covid-19. Questi pazienti sono considerati veramente fragili e, giustamente, hanno una priorità per la vaccinazione utilizzando le formulazioni a RNA che assicurano una maggiore protezione. Lo stesso dicasi per l’associazione con altre malattie autoimmuni sistemiche come il lupus. Quindi, la buona notizia è che, salvo i casi associati a patologie autoimmuni più gravi o sistemiche, non sussiste alcun valido motivo per ritenere fragili nei confronti della malattia da Covid-19 i pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto, anche quando questi siano in terapia con Maria Cristina Vigone, Segretario generale della SIEDP, ha affermato: Rassicuranti sono i dati, ad ora disponibili, sulla popolazione pediatrica affetta da tireopatia come ipotiroidismo congenito o acquisito e ipertiroidismo. Non emerge infatti un maggior rischio di contrarre l’infezione da Sars-Cov2, né che questi pazienti possano avere una prognosi peggiore in caso di infezione. Però i pazienti con funzionalità tiroidea scompensata, soprattutto in caso di ipertiroidismo, pur non essendo più suscettibili all’infezione da Sars-Cov2, possono avere maggiori complicanze in caso di infezioni. Per questo motivo, in tutti i centri di endocrinologia pediatrica, è stato fatto un grande sforzo per garantire la continuità assistenziale con visite periodiche programmate e, nei casi in cui questo non è stato possibile, attivando modalità alternative come consulenze telefoniche, video-consulenze e servizi di telemedicina. Lo screening dell’ipotiroidismo congenito non ha subito interruzioni o ritardi, così come la cura dei neonati affetti da questa patologia.

Fabio Monzani, Rappresentante della SIGG, ha detto: La malattia da Covid-19 si è rivelata particolarmente aggressiva e con elevata mortalità nei pazienti anziani e soprattutto negli ultraottantenni. La polmonite da Covid-19 si associa ad un quadro di alterata risposta immunitaria che determina la liberazione massiva nel sangue di citochine infiammatorie, responsabili a loro volta di alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide con lo sviluppo della cosiddetta sindrome del malato eutiroideo o sindrome con bassa T3. Dati preliminari ottenuti da un registro nazionale elaborato sotto l’egida della SIGG documentano una prevalenza particolarmente elevata della sindrome del malato eutiroideo, superiore al 50 per cento nei pazienti anziani ricoverati. La comparsa di questo quadro, pur rappresentando una difesa dell’organismo in caso di malattie gravi, ha un valoro prognostico negativo perché si associa ad una maggiore mortalità.

Celestino Pio Lombardi, Presidente SIUEC, ha aggiunto: L’attuale periodo pandemico, che si sta protraendo da oltre un anno, ha ridotto il ricorso da. parte dei pazienti ai programmi di prevenzione e ai controlli periodici sia per quanto riguarda le patologie tiroidee benigne sia, e questo è più preoccupante, per quelle maligne. La paura di ‘andare in ospedale’ per visite e esami ambulatoriali, il contingentamento degli appuntamenti e, in molti casi, la temporanea sospensione dei servizi o la trasformazione dei reparti per ricoveri ‘Covid’, ha causato sia ritardi diagnostici, sia l’allungamento dei tempi per effettuare interventi di tiroidectomia, spesso necessari. Il rischio, in caso di noduli tiroidei tumorali, è l’aumento di dimensioni che, non solo può peggiorare il successivo decorso, ma può rendere impossibile il ricorso alla chirurgia tiroidea mininvasiva e più conservativa, con conseguenze post-operatorie ed estetiche talvolta importanti. La nuova sfida è quindi ‘recuperare il tempo perduto’ intensificando l’attività dei centri di chirurgia endocrina.

Maria Cristina Marzola, Consigliere AIMN, ha affermato: La medicina nucleare interviene nelle malattie della tiroide non solo per la diagnosi, ma, soprattutto, per la terapia con iodio radioattivo dell’ipertiroidismo e dei tumori della tiroide, una volta trattati chirurgicamente. Da un’analisi eseguita dal gruppo Giovani di AIMN è emerso che, nel corso della pandemia si è verificata una riduzione di tutte le prestazioni di Medicina Nucleare. Il 19% circa di questa perdita riguarda prestazioni terapeutiche, nel 50% e più dei casi rappresentate dalla terapia con iodio radioattivo per il carcinoma della tiroide. Questo è dipeso sia dalla riduzione degli interventi chirurgici sulla tiroide, come già sottolineato dal Collega Lombardi, sia dalla possibilità, condivisa anche in ambito internazionale, di posticipare di qualche mese la terapia con iodio radioattivo nei casi di carcinoma differenziato della tiroide a basso rischio. Contestualmente, i Centri di Medicina Nucleare hanno innalzato i livelli di protezione e isolamento dei pazienti per evitare che chi avesse assunto lo iodio radioattivo a scopo terapeutico fosse infettato dal virus.

Anna Maria Biancifiori, Presidente Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini, ha concluso: La qualità della relazione e della comunicazione tra medico e paziente è un fattore di grande importanza per indirizzare il percorso diagnostico e terapeutico e anche per il buon esito della cura. I pazienti presentano bisogni di contatto, di relazione e di dialogo anche nelle situazioni più compromesse e i curanti, sotto il pesante carico lavorativo imposto dalla pandemia, non sempre hanno avuto le risorse e il tempo per rispondere a questi bisogni. Indubbiamente, le cure hanno subito un rallentamento a causa della pandemia da Covid-19: molti interventi chirurgici sono stati rimandati, la paura del virus ha dissuaso alcuni pazienti dal recarsi in ospedale per i normali controlli e anche per le terapie. Nel contempo, le liste di attesa si sono notevolmente allungate a causa del carico di lavoro delle strutture ospedaliere. L’attenzione a tutte le patologie, in particolare a quelle oncologiche, deve tornare al centro dell’agenda di Governo, dal momento che gli ultimi dati paventano il rischio che nei prossimi anni la mortalità dei pazienti colpiti da tumore aumenti del 20% circa in conseguenza della pandemia.

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