Donne protagoniste del proprio tempo: in mostra al Castello Isimbardi di Castello d’Agogna (PV)

L’Altro Novecento. Cento anni di storia al femminile

  Cultura e Spettacoli  

Dipinti, fotografie e manifesti pubblicitari, proiezioni, abiti d’epoca, tavole rotonde e appuntamenti per le scuole

Una mostra, tante suggestioni.

Quella che si apre l’11 settembre a Castello Isimbardi di Castello d’Agogna (PV) è una esposizione multiforme che offre diversi spunti di riflessione. La rassegna, promossa dalla Fondazione Vera Coghi, curata dal Direttore artistico Isabella Brega e aperta fino al 24 ottobre, esamina l’evoluzione del ruolo e dell'immagine della donna nel corso del XX secolo. L’altra faccia di un racconto che ha sempre visto gli uomini quali unici protagonisti. È un percorso di consapevolezza storica che, partendo dal passato, ci induce a riflettere sul presente e ad aprirci alle aspettative e alle opportunità che si offrono alle nuove generazioni.

La rassegna è composta da un’esposizione di dipinti di maestri del Novecento italiano, affiancata da una mostra fotografica con immagini provenienti da collezioni private, dall’Archivio Storico Fondazione Fiera Milano e dall’Archivio Chiolini dei Musei Civici di Pavia. In mostra anche le riproduzioni di una selezione di immagini pubblicitarie provenienti dal Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso e dall’Archivio Storico Fondazione Fiera Milano che illustrano l’evoluzione dell’immagine femminile nelle opere dei maggiori disegnatori pubblicitari del secolo scorso.

Completano l’evento una serie di proiezioni multimediali dedicate alla moda, un’esposizione di oggetti e di abiti d’epoca da collezioni private (che prosegue nel vicino Castello di Sartirana) e un ciclo di tavole rotonde con alcuni protagonisti del mondo della cultura, dell’imprenditoria, del diritto, oltre a uno specifico programma riservato alle scuole secondarie e dedicato ai temi del femminicidio, del rapporto uomo-donna e del body shaming.

L’esposizione si apre con dipinti di Segantini, Longoni, Ezechiele Acerbi, Truffa: artisti che connotarono la stagione del Realismo di fine Ottocento primo Novecento e hanno rappresentato con una sensibilità particolare la condizione della donna.

I temi dell’ambiente di campagna sono quelli della povertà, materiale e culturale, della maternità, frequente e rischiosa, dell’accudimento della casa e della famiglia fin dall’infanzia, della fatica fisica estrema.

In alcune aree d’Italia gli stessi temi sono affrontati in una pittura di genere, che ha un grande successo di mercato: artisti come Lancerotto e Zampighi, usciti dalle accademie di Modena e Venezia, offrono spaccati di vita quotidiana in contesti lieti, senza tuttavia nascondere nei dettagli descrittivi una condizione di indigenza condivisa. Vi si rafforzano gli stereotipi sui ruoli della donna, che all’interno della famiglia e della casa sa creare atmosfere serene.

Un pittore più tardo, Pietro Bisio, affronta con una cifra stilistica nuova le stesse tematiche, con la nostalgia dell’uomo di campagna che vede disgregarsi la famiglia agricola con i suoi valori di inclusione a causa dell’avvento dell’industria. Questa appare nello sfondo come uno spettro.

I suoi ritratti femminili attestano il perdurare delle difficoltà economiche fino alla metà del Novecento, quando l’introduzione delle macchine trasforma il lavoro dei campi e intensifica il fenomeno dell’urbanesimo: uomini e donne che non trovano più una dimensione lavorativa nelle campagne, pensano alla città come l’occasione per dare una svolta alla loro vita.

Nelle grandi e piccole città il mondo femminile più in difficoltà è rappresentato da donne che vivono alla giornata, facendo lavori umili e precari: sono lavandaie, stiratrici, cucitrici, modelle, prostitute.

Alcune scelgono in alternativa la vita ritirata delle comunità religiose, altre, soprattutto nella vecchiaia, sono sostenute da istituzioni sociali benefiche.

Ce ne offrono esempi altissimi Zandomeneghi, Fattori e Morbelli.

Sempre in città, dove già esiste una tradizione borghese, accresciuta dalle nuove attività industriali, si aprono scenari nuovi. Cinema, teatro, musica, ballo, grandi magazzini, caffè attirano le signore. Un pittore come Giovanni Boldini, che vive l’esperienza parigina della Belle époque, è richiesto dalle signore dell’alta società, ne coglie il fascino elegante e le ritrae nei guizzi delle pieghe delle vesti delle occasioni mondane e nelle pose compiaciute dei volti (La divina, Ritratto di giovane donna).

Anche Camillo Innocenti ritrae le sue donne in situazioni di privilegio: mentre si dedicano alla loro toeletta, si pavoneggiano allo specchio per il loro aspetto fisico o per la loro eleganza o, come in mostra, mentre suonano in privato uno strumento.

Intanto nel mondo artistico, a partire dalla corrente simbolista, che traduce la percezione fenomenica in forme allegoriche, si innesta un dibattito culturale-estetico che trae linfa dagli ideali dannunziani. In una realtà onirica si evocano figure femminili languide e seducenti, espressione di simboli atavici che si rinnovano, eterni e universali come i miti, nella natura come nella vita, tra giovinezza amore e morte (Eros di Saccaggi). Le sinuosità floreali e naturalistiche aprono la strada al Liberty più maturo.

Prosegue anche una ritrattistica di maniera, sempre più richiesta dalla società borghese. In questo genere i pittori esercitano da sempre il meglio delle loro abilità tecniche accademiche per una clientela facoltosa che permette loro di raggiungere una stabilità economica. (Ritratto femminile di Sanquirico).

Il genere del ritratto si trascina fino oltre la Prima guerra mondiale, nel regime, che controlla ma non reprime attività culturali e di svago come cinema e teatro. In questi ambiti si esprimono forme di emancipazione femminile impensabili fino a pochi decenni prima. Le attrici, donne libere e padrone delle proprie scelte, portano nel mondo femminile modelli estetici e comportamentali nuovi. I ritratti a cui tutte aspirano sanciscono la bellezza e la scioltezza dei loro gesti. Donne famose come Francesca Bertini, Paola Borboni e Lida Borrelli sono qui ritratte da Giuseppe Amisani.

Anche le donne pittrici non corrispondono allo stereotipo borghese, soprattutto se fanno parte della società più in vista. Se qualcuna frequenta per concessione le accademie di pittura, incontra comunque la contrarietà della famiglia a esporre le proprie opere, a manifestare con l’arte idee e esperienze culturali considerate trasgressive.

Solo nel corso del tempo matura una libertà di pensiero che permette loro di uscire allo scoperto e di essere apprezzate. Un esempio per tutte è offerto dalle opere di Clemen Parrocchetti Cavalchini, la cui produzione si sviluppa nei decenni della seconda metà del Novecento, in audace autonomia inventiva.

Una sezione della mostra è dedicata all’immagine della donna nella fotografia e rappresenta le diverse sfaccettature di un mondo femminile alla ricerca di nuovi orizzonti e nuove dimensioni. Un viaggio per immagini che ripercorre la storia sociale della donna attraverso i cambiamenti della sua rappresentazione iconografica che, solo con l’avvento della fotografia, da immagine pittorica, idealizzata attraverso la figura di dea, santa, madonna, madre, moglie e figlia, diventa reale.

Un cambiamento epocale, influenzato anche dai canoni di bellezza dettati dalle mode, che per molto tempo non la metterà al riparo dall’essere prigioniera di un immaginario maschile e di una società patriarcale.

Attraverso il ritratto femminile, dall’infanzia alla maturità, dalla dimensione domestica a quella sociale e lavorativa, la mostra racconta il cambiamento della concezione della donna e del suo rapporto con l’uomo. Uno spaccato della società quando, superato il Dopoguerra, l’Italia è pronta a intraprendere un periodo di sviluppo e benessere. Sguardi, volti, abiti, riti e abitudini svelano così speranze e aspettative di generazioni di donne nel loro cammino verso una sempre maggiore consapevolezza e autonomia.

In mostra volti, posture, sguardi, abiti che svelano speranze e aspettative di un’intera, nuova generazione femminile.

La pubblicità è femmina. Non a caso nel dizionario della lingua italiana appartiene al genere femminile. Una sezione della mostra è dedicata all’evoluzione dell’immagine muliebre nella cartellonistica. In esposizione una serie di riproduzione di manifesti firmati da grandi maestri del settore. Le immagini mostrano il cambiamento dell’immagine e del ruolo sociale della donna, target privilegiato di molti annunci pubblicitari e oggetto estetizzato da ammirare, nella sua duplice veste di ammaliatrice dei consumatori maschili e di modello per il gentil sesso.

Il binomio pubblicità-bellezza muliebre è indissolubile. Sin dal loro apparire infatti i cartelloni pubblicitari firmati da artisti come Cappiello, Dudovich, Terzi, Metlicovitz, dalla grande qualità e sensibilità pittorica, hanno come soggetto volti e corpi di donne, seducenti, provocanti, ammiccanti, in grado di colpire l’immaginazione, di conquistare e influenzare i comportamenti e le scelte dei consumatori, inducendoli ad acquistare l’oggetto promosso dall’annuncio pubblicitario.

L’immagine femminile rimandata dai cartellonisti di inizio Novecento è influenzata dalla moda e varia in funzione dei canoni di bellezza del momento. Nel corso del XX secolo il gentil sesso è prima presentato come un elemento decorativo rispetto all’oggetto pubblicizzato e solo a partire dagli anni cinquanta diventa un vero e propria coprotagonista del messaggio commerciale, mentre dallo sguardo e dal sorriso ammiccante della donna si passa all’esaltazione del corpo e a una raffigurazione che si avvicina sempre più ai canoni americani giunti in Italia attraverso i film d’oltreoceano.

La pubblicità accompagna e anticipa così il cambio di ruolo della donna e contribuisce al processo di emancipazione femminile, proponendo alle ragazze del Novecento nuovi modelli e smontandone l’immagine convenzionale di moglie e madre. Nuovi modelli che nel corso della seconda metà del secolo non riusciranno a evitare che i pubblicitari la releghino al ruolo dello stereotipo sexi.

L’esposizione è corredata da due proiezioni multimediali che mostrano il lungo, difficile viaggio delle donne per essere non solo libere da corsetti, crinoline, pizzi e sottogonne, ma anche comode. Esiste infatti un fil rouge che lega moda ed emancipazione femminile e passa attraverso l’eliminazione del busto, la rivoluzione del reggiseno e l’accorciamento delle gonne e dei capelli.

Nella sala delle ex Scuderie ogni fine settimana si svolgeranno una serie di tavole rotonde di approfondimento e discussione con esperti di diversi settori, dalla storia alla legislazione, dalla politica alla scienza, dalla cronaca alla narrativa, per dare spessore documentario all’impegno civile della donna. Attraverso i social e le dirette facebook si apriranno in tempo reale dibattiti allargati a un pubblico più vasto.

In occasione della mostra a Castello Isimbardi è esposta anche una selezione di abiti provenienti da collezioni private e una serie di accessori indispensabili per completare la mise di una signora alla moda: ventagli, cappelli, guanti, ombrellini…

La sezione dedicata all’evoluzione della moda femminile nel Novecento è completata dalla possibilità, con un biglietto cumulativo, di ammirare la straordinaria collezione di abiti di alta sartoria (da Valentino ad Armani, da Capucci a Versace, da Ferrè a Krizia, alle Sorelle Fontana), molti dei quali già indossati da personaggi come Lady Diana, Grace Kelly, Jacqueline Kennedy e Naomi Campbell, esposti nel vicino Castello Visconteo di Sartirana, costruito nell’ultimo quarto del Trecento per volontà di Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano e Signore di Pavia, dal Conte e condottiero Jacopo Dal Verme nel contesto di una strategia politica e difensiva dei possedimenti viscontei.

La signoria di Sartirana fu concessa nel 1452 a Cicco Simonetta in forma di “investitura feudale”, preceduta dalla concessione in precedenza di una ricca possessione ducale.

Nella consapevolezza che i temi che verranno trattati sono di grande interesse per i giovani che stanno maturando insieme a una loro modalità di approccio alla vita, alle scuole è dedicato un apposito incontro gestito da psicologi dell’età evolutiva e assistenti sociali.

L’Altro Novecento. Cento anni di storia al femminile

11 settembre - 24 ottobre 2021

Castello Isimbardi, Castello d’Agogna (PV)

Info Tel. 0384.296584

https://laltro900.wixsite.com/mostra

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