Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani

27/12/2017


Si dice che un gatto abbia sette vite, ma certo se prova ad attraversare una strada ad alto traffico nell’ora di punta è probabile che quelle sette vite non durino molto. Così è nato il detto per indicare qualcosa che vive di vita effimera e che purtroppo finirà presto.

Questo è ciò che accadrà al rapporto tra i due protagonisti del nostro film, per i quali si potrebbe adattare la classica chiusa finale dicendo “e vissero - per un po’ - felici e contenti”. In effetti il film, invece del solito happy end, ha un finale agrodolce, che non rispecchia il cliché della coppia con lui e lei provenienti da classi sociali diverse che in nome dell’amore superano tutte le barriere familiari e ambientali.

Qui lo schema che gioca sulla contrapposizione tra i due mondi si ripete due volte, cominciando con due adolescenti che si incontrano e si innamorano: lei figlia ben educata di Giovanni, un professionista abituato a muoversi disinvoltamente nelle istituzioni europee così come nei circoli intellettuali della Roma borghese, lui figlio “coatto” di Monica, una energica borgatara, sempre vissuta in un degradato quartiere della periferia romana, in mezzo a immigrati, ladri e spacciatori, anche se lei personalmente ha mantenuto una onestà e dignità di fondo pur sotto modi estremamente rozzi e popolani.

Certo, la giovanissima età dei due ragazzi difficilmente poteva preludere a un rapporto duraturo, e infatti verso la fine della storia li vediamo tornati ciascuno al proprio mondo, ognuno con un nuovo fidanzatino/a dello stesso ambiente, ma è facile presumere che la fine del loro rapporto sia stata in misura determinante la distanza culturale e sociale.

L’altra coppia segue invece un percorso inverso. Giovanni, marito separato, e Monica, separata di fatto perché il marito è da anni in prigione, si incontrano solo a causa del legame tra i figli, che entrambi vorrebbero far cessare, ben consapevoli che non potrà funzionare. I due all’inizio si detestano reciprocamente ma, costretti in qualche modo a frequentarsi per via dei figli, instaurano alla fine un rapporto affettivo, anche se destinato appunto a fare la fine del gatto.

Però, anche se il legame probabilmente si arrenderà alla incompatibilità sociale, sia Giovanni che Monica ne escono avendo imparato molto l’uno dall’altra. Lui, che guida un think tank tutto impegnato a trattare in termini statistici il tema delle periferie e della relativa contaminazione tra persone ed etnie diverse, scopre che dietro i numeri e le percentuali ci sono persone in carne ed ossa con i loro problemi e i loro sentimenti; lei, inizialmente qualunquista e convinta che la politica e le istituzioni siano solo un “magna magna”, scopre alla fine che la consapevolezza dei propri diritti e delle possibilità offerte dalle norme di legge le possono consentire di migliorare sensibilmente la propria situazione economica.

Insomma un film che dietro una sequenza di situazioni comiche, perché comunque è un film piacevole che fa ridere molto, manda un messaggio di invito ad aprirsi, conoscersi, e non rintanarsi ognuno nella propria cerchia di “pari grado”, disprezzando a priori il diverso. Messaggio di cui sicuramente c’è un gran bisogno nel mondo di oggi, dove non si fa che costruire muri e rivendicare autonomie sempre più localistiche.

Il film, diretto da Riccardo Milani, è interpretato da Paola Cortellesi, Antonio Albanese, Sonia Bergamasco, Claudio Amendola, Alice Maselli E Simone De Bianchi. È in sala da domani, 28 dicembre.

Ugo Dell’Arciprete