La Corte di Cassazione ha affrontato, per la prima volta, il profilo della lecita conoscibilità o meno, da parte del datore di lavoro della corrispondenza via e-mail in partenza o in arrivo sulla casella di posta elettronica del lavoratore

Email aziendale: legittimo l´accesso del superiore

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Con la sentenza n. 47096 del 19 dicembre 2007 i giudici della V Sezione Penale della Cassazione hanno dichiarato infondato il ricorso proposto dal Pubblico Ministero avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Torino ha prosciolto, il 15 settembre 2006, un datore di lavoro dall´imputazione di avere abusivamente preso cognizione della corrispondenza informatica aziendale della sua dipendente.

Dipendente che era stata licenziata proprio in ragione dei contenuti rinvenuti nella sua posta elettronica.

Il Pubblico Ministero ha adito la Corte lamentando la violazione da parte del datore di lavoro dell´articolo 616 cod. pen.

Tale articolo, relativo al reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, prevede che “ … chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prendere o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire sessantamila a un milione. Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della  corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non  costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per «corrispondenza» si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza”.

Secondo il P.M. il datore di lavoro ha preso visione del contenuto della corrispondenza della dipendente, utilizzando la password posta a protezione dello stesso. A suo avviso, il giudice di merito ha erroneamente assunto a fondamento della propria pronuncia la rilevanza della proprietà aziendale della posta elettronica (rectius del "mezzo di comunicazione violato"), senza considerare il profilo funzionale della destinazione del mezzo telematico non solo al lavoro, ma anche alla comunicazione costituzionalmente tutelata.

La Corte di Cassazione non ha condiviso il motivo di ricorso proposto dal Pubblico Ministero perché nell´azienda era prescritta ai dipendenti “la comunicazione, sia pure in busta chiusa, al superiore gerarchico” della password.

I giudici hanno quindi precisato che tra i soggetti legittimati a prendere visione della corrispondenza rientra indubbiamente anche il dirigente d’azienda quando, come nel caso di specie, la password di accesso ai computer e alla corrispondenza di ciascun dipendente sia a conoscenza dell’organizzazione aziendale per essere state comunicata, sia pure in busta chiusa, al superiore gerarchico, legittimato, quindi, a utilizzarla anche per la mera assenza dell’utilizzatore abituale.

Secondo la Corte, quando il sistema telematico è protetto da una password, deve ritenersi che la corrispondenza in esso custodita sia lecitamente conoscibile da parte di tutti coloro che legittimamente dispongono della chiave informatica di accesso.

La Corte ha concluso le proprie motivazioni ricordando che, secondo le prescrizione del provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali n. 13 del 1° marzo 2007, i dirigenti dell´azienda possono legittimamente accedere ai computer in dotazione ai propri dipendenti, quando delle condizioni di tale accesso sia stata data loro piena informazione.

GS

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