FOCUS ON LINE - RIVISTA N° 4, 6 maggio 2018

Cultura e Spettacoli, Mostre e Musei

Weil am Rhein, Vitra Design Museum: Night Fever. Designing Club Culture, 1960-Today
Una (ri)lettura del tema delle discoteche e dei club in chiave socio-culturale e sotto l’aspetto dell’architettura e del design

Fino al 9 settembre 2018 presso il Vitra Design Museum di Weil am Rhein si può visitare la mostra Night Fever. Designing Club Culture, 1960-Today, che propone una (ri)lettura a larga scala del tema delle discoteche e dei club in chiave socio-culturale e sotto l’aspetto dell’architettura e del design, attraverso un ampio panorama storico di esperienze e di modelli di riferimento.

Clubs reflect changes and (r)evolutions in society è il principio su cui i curatori (Jachen Eisenbrand, Catharine Rossi e Katarina Serulus, con Meike Wolfschlang e Nina Steinmüller) poggiano tutto l’impianto della mostra: quali centri gravitativi di cultura pop (ma si pensi per estensione all’intero panorama delle subculture), i clubs si sono configurati da subito come luoghi in cui si radunava l’avanguardia per mettere in discussione lo status quo sociale ed esplorare altri livelli possibili di realtà.

Attraverso la scomposizione del tema in periodi storici ben definiti, l’esibizione intende legare al concetto di avanguardia anche il concetto di ricerca nell’ambito del design, degli interni, dell’arte, della luce e della grafica, mettendone in evidenza i molteplici legami col mondo delle discoteche e coi luoghi dello svago serale.

L'articolazione della mostra:

  1. L’ingresso alla mostra apre al mondo degli anni ’60 (Beginning to See the Light), primo passo verso la sperimentazione dell’architettura di interni legata a stili di vita alternativi, liberi dai vincoli tradizionali. Spazi di qualità, multifunzionali, modulari, riconfigurabili - spesso prodotto delle idee di figure note del mondo dell’architettura - si prestavano tanto allo svago quanto a concerti, incontri, eventi teatrali, …
  2. La seconda sala (Can You Feel It?) approfondisce il tema della musica, indissolubile rispetto alla cultura delle discoteche, e offre ai visitatori la possibilità di immergersi in un prisma riflettente di luce e suoni davvero coinvolgente.
  3. La terza parte dello spazio mostre (Slave to the Rhythm) è dedicata alle decadi ’70-’80, segnati dal culmine della commercializzazione del “movimento disco”. È questo il periodo in cui artisti emergenti (Haring, Basquiat) avviano le proprie carriere, avvicinando ancor di più al mondo del divertimento notturno quello dell’arte e della moda: i clubs si evolvono, diventando piattaforme per performances, esibizioni e installazioni.
  4. Infine, al piano superiore, l’ultima sezione della mostra (Around the World) affronta alcuni dei temi più rilevanti e interessanti, concentrandosi sugli ultimi decenni, ’90 e anni 2000. Modellini in scala e riproduzioni bi- e tridimensionali di alcuni dei più famosi clubs di tutto il mondo testimoniano perfettamente l’alto livello di qualità spaziale e architettonica a cui si è arrivati in questo ambito, evidenziando al contempo la complessità e in alcuni casi anche le contraddizioni che la globalizzazione (perfino della musica!) ha comportato.

Da luoghi rivitalizzanti dei tessuti cittadini abbandonati e deteriorati (si vedano ad esempio le esperienze berlinesi) - sintomo che scene socialmente vivaci richiedono spazi urbani modellabili e permeabili - fino al lento decadimento di molte esperienze brillanti e ormai fuori contesto, ormai memoria demodé di un passato irrecuperabile.

Si afferma, in questa ultima parte, il principio da cui si era partiti: le discoteche non sono semplicemente contenitori indifferenziati di divertimento, ma spazi generativi di esperienze intense e multimediali, in grado di conferire qualità e innovazione allo stile di vita dei fruitori, purché propensi a “portare avanti l’esplorazione”.

Questa mostra fuori dalle convenzioni si arricchisce di un valore aggiunto nel sentire i curatori svelare le difficoltà avute nell’impostare così seriamente e coerentemente un “argomento non canonico”, un tema “effimero”, nonché nel reperire materiale pertinente e metterlo in ordine così sapientemente come è stato fatto nel catalogo allegato all’esibizione: Night Fever. Designing Club Culture 1960-Today, 400 pagine di racconto corredate da 500 fotografie a cavallo tra anni in b/n e a colori.

Fabio dell'Arciprete