Sono ormai dieci anni, dalla bolla speculativa scoppiata in USA nel 2008, che l’economia mondiale ha avviato una fase di recessione. Altri paesi l’hanno ormai più o meno superata; il nostro, purtroppo, dopo il famoso picco dello spread del 2011 e le drastiche misure che il governo dell’epoca dovette prendere per evitare il default, non è ancora riuscito a tornare ai livelli produttivi e di benessere di prima della crisi.
Il risultato è tragicamente visibile nel tessuto produttivo di quelli che una volta erano i distretti della piccola imprenditoria, dove le “fabbrichette” sorgevano come funghi e grazie anche all’indotto tutto il territorio circostante viveva il suo piccolo boom.
Il più tipico esempio di queste zone una volta altamente produttive è il Veneto, dove oggi, muovendosi lungo le provinciali, è spettacolo comune vedere file di capannoni vuoti con cartelli di Vendesi o Affittasi. E anche quando il mercato c’è e non è la crisi a insidiare i posti di lavoro, ci pensa la ricerca esasperata del profitto che porta tanti imprenditori a delocalizzare le attività in paesi con minore costo del lavoro.
È in questo contesto che prende avvio la storia del film Beate, in una cittadina del Nordest dove la fabbrica “Veronica” produce e vende - con successo e nonostante la crisi - biancheria intima per signore, ma i proprietari vogliono delocalizzare lasciando le poche operaie - la combattiva Armida (Donatella Finocchiaro) e le sue compagne - senza lavoro.
Le poverine da una parte ingaggiano il classico braccio di ferro con la proprietà, picchettando la fabbrica per evitare che le macchine vengano portate via, dall’altro tentano di continuare il lavoro in proprio, producendo biancheria a casa e cercando di venderla nei mercatini locali. Però la concorrenza della merce cinese a prezzi stracciati è imbattibile, a meno di inventare qualcosa che renda i loro modelli unici.
E qui interviene nella vicenda l’altro carattere distintivo della popolazione del Nord-Est: la grande diffusione della fede cattolica. Nel vicino “Convento del Manto Santo”, un pugno di suore abili nell’antica arte del ricamo, tutte sufficientemente “svitate” e fin troppo devote alla salma mummificata della Beata Armida, rischiano anche loro di perdere il posto di … preghiera.
Per loro la minaccia non è lo spostamento delle attività all’estero, ma un’altra tristemente nota forma di speculazione: il progetto di trasformare il loro convento in un resort di lusso, portato avanti dalla complicità del vescovo e di un politico locale, aspirante sindaco senza scrupoli e anche proprietario della “Veronica”. L’unico modo per salvare il loro convento sarebbe quello di fare dei lavori di restauro imposti dal Comune, ma per questo ci vogliono soldi che la Curia non dà.
Però una delle anziane suore è zia di Armida (è a causa sua che Armida, siciliana purosangue, era venuta a lavorare lì vicino), e da un incontro/scontro di zia e nipote nasce l’idea che salverà fabbrica e convento: operaie e suore intraprendono una singolare collaborazione “a scopo di lucro”, una produzione artigianale e clandestina di lingerie. Molto ricamata e piuttosto sexy.
Perché le cose vadano nel verso giusto, per sconfiggere i “poteri forti”, serve però un miracolo, quello che la Beata non ha ancora compiuto e che la farebbe finalmente diventare “Santa Armida”. Inutile dire che il “miracolo” si compirà e tutti vivranno felici e contenti.
Beate è una divertente favoletta che riesce a dare un lieto fine ad una situazione di incombente disoccupazione e di sgombero forzato. Sappiamo tutti che nella realtà non è quasi mai così, ma per i novanta minuti del film è piacevole illudersi che questa volta funzioni.
Il film, diretto da Samad Zarmandili, è interpretato da Donatella Finocchiaro, Paolo Pierobon, Maria Roveran, Lucia Sardo, Betti Pedrazzi, Anna Bellato.
Il film Beate è in sala dallo scorso giovedì 30 agosto al Nuovo Sacher di Roma e all’Anteo Palazzo del cinema di Milano e, a seguire, nelle altre città italiane.
Ugo Dell’Arciprete