Il test può aiutare le donne con tumore iniziale del seno ad evitare una chemiorapia inutile, personalizzando il trattamento

Tumore al seno: un test genomico

  Salute  

Le nuove diagnosi di tumore del seno, solo in Italia nel 2012, sono state circa 46 mila, oltre 190 mila in America e oltre 450 mila in Europa. Il cancro è una malattia estremamente complessa: ogni tumore contiene al proprio interno molteplici alterazioni correlate alla biologia di quel specifico tumore e di quel determinato paziente. Ciò significa che alcuni pazienti possono avere maggiori probabilità, rispetto ad altri, di sviluppare la malattia ad uno stadio avanzato o di rispondere ad alcune terapie.

Un test diagnostico genomico – effettuato nel mondo su oltre 320 mila donne - ha dimostrato di poter identificare con grande accuratezza diagnostica e precisione i tumori che risponderanno più efficacemente alla chemioterapia, consentendo di evitarla quando non necessaria.

Il test genomico, non invasivo e prescrivibile esclusivamente dal medico curante autorizzato, esamina il tumore a livello molecolare e fornisce informazioni specifiche su quel singolo tumore, facilitando l’individuazione del trattamento più appropriato per ogni paziente, quantificando l’entità del beneficio derivante da una chemioterapia e la probabilità del tumore del seno allo stadio iniziale di recidivare a distanza.

Sempre più oncologi utilizzano questo test genomico, prima di iniziare un trattamento chemioterapico, per ottenere informazioni aggiuntive, oltre ai parametri clinico-patologici standard, quali il grado o le dimensioni del tumore al fine di comprendere meglio la biologia di ogni singolo tumore e determinare, per ogni paziente, il trattamento post-chirurgico più appropriato.

In Italia il test è già disponibile, come in tutta l’Europa (marcatura CE), ma non è ancora rimborsato: viene utilizzato sporadicamente, oltre che in alcuni studi clinici, da alcune pazienti che provvedono direttamente al pagamento del test. Il test rappresenta un primo passo efficace verso la personalizzazione della terapia in alcune forme di tumore e facilita la decisione degli oncologi, modificando il protocollo terapeutico in circa un terzo delle pazienti, evitando l’impiego della chemioterapia in un quarto e prevedendone l’aggiunta nel 5-10%. Il test permette così di evitare il ricorso alla chemioterapia, con tutti i suoi effetti collaterali, nei casi che non ne trarrebbero beneficio o, al contrario, di non trascurarne l’impiego laddove il trattamento sarebbe necessario (risparmiando anche i costi relativi all’insorgenza di metastasi a lungo termine).

E’ finita l’epoca in cui il tumore della mammella veniva considerato una malattia unica – dichiara Michelino de Laurentiis, Docente di Oncologia Molecolare presso l’Università Federico II di Napoli e Direttore della Divisione di Oncologia Medica Senologica dell’Istituto Tumori ‘Fondazione Pascale’ della stessa città – assoggettata indistintamente a tutte le terapie possibili. Oggi ci stiamo orientando sempre più verso una ‘personalizzazione’ della terapia, che consiste nel definire caso per caso la migliore strategia terapeutica integrata.

Data l’eterogeneità del tumore del seno – dichiara Wolfgang Eiermann, Direttore dell’Interdisciplinary Oncology Center di Monaco, Germania - è necessario arrivare a capire meglio la biologia del tumore, prerequisito fondamentale per un trattamento individualizzato. È infatti ormai chiaro che non è più possibile avere una unica strategia di approccio al tumore ma che, invece, occorre avvalersi di ulteriori parametri prognostici e predittivi che favoriscano la creazione di terapie mirate alle caratteristiche di ogni singolo tumore. Lo sviluppo di test che definiscono il profilo genetico di un tumore è un passo importante in questa direzione, aiutando anche a differenziare i pazienti con un basso profilo di rischio da quelli ad alto rischio, attraverso l’analisi dei geni correlati all’attività di proliferazione e all’espressione dei recettori ormonali.

Oltre a ottimizzare il trattamento per il tumore della mammella, il test genomico può avere anche una ricaduta sui costi sanitari, limitando la quantità di trattamenti chemioterapicisolo alle pazienti suscettibili di un reale beneficio.

Sono dell’opinione che il Sistema Sanitario Nazionale del nostro paese, insieme agli organi istituzionali preposti e ai comitati scientifici italiani, in primis dell’AIOM – spiega Giampaolo Bianchini, oncologo presso il Dipartimento di Oncologia Medica del San Raffaele di Milano – dovrebbero riunirsi intorno a un tavolo e valutare i potenziali vantaggi che in termini di costo-beneficio la rimborsabilità del test potrebbe portare, magari tenendo conto delle esigenze di contenimento dei costi nel sistema sanitario nazionale, identificando quei sottogruppi candidabili nei quali il rapporto costo-beneficio risulta persino più elevato. Tali vantaggi non sono identificabili soltanto nella possibilità di evitare le tossicità di un trattamento chemioterapico con un impatto ovvio in termini di qualità della vita senza ridurre le probabilità di guarire dal carcinoma mammario, ma anche, in una visione di contenimento dei costi, nella riduzione del costo di farmaci e di impiego delle risorse sanitarie nonché in termini di riduzione delle giornate di lavoro perse. Comunque, i vantaggi in termini di impatto sulla qualità della vita, sono i più importanti e non possono essere strettamente misurati dal punto di vista del guadagno o del risparmioeconomico.

Info: Genomic Health - www.GenomicHealth.com.

Giovanni Scotti

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