All’ADI Design Museum fino a settembre si può visitare una mostradedicata alla storica azienda

Podium 16. I Compassi d’Oro di Olivetti

  Cultura e Spettacoli  

Fino all'11 settembre all'ADI Design Museum consigliamo di visitare la mostra Podium 16. I Compassi d’Oro di Olivetti, dedicata alla storica azienda.

Luciano Galimberti, presidente ADI, ha dichiarato: La mostra è un omaggio al lungo presente olivettiano, la cui esperienza si riflette in maniera chiara quanto appassionata nel tema dato alla prossima edizione del Compasso d’Oro: Sviluppo - Sostenibile - Responsabile.

L’universo Olivetti è un mare magnum dove il tema dell’immagine trova tutte le sue possibili declinazioni e il design una delle sue forme di espressione più strutturate e continuative; la mostra è, quindi, soprattutto dedicata a questo aspetto piuttosto che complessivamente alla storia dell’industria.

Podium 16, lo ribadiamo, è un omaggio ai 16 Compassi d’Oro che hanno premiato i prodotti Olivetti tra il 1954 ed il 2001, accompagnando la vicenda del design italiano nel suo periodo di più larga affermazione.

Questa lunga serie di premi, spalmati su circa cinquant’anni, consente di fare un bilancio su come le macchine e in genere l’oggetto tecnico italiano abbiano da sempre cercato un rapporto con il nostro universo domestico.

In questo percorso, curato da Manolo De Giorgi, si legge il modo unico di Olivetti, non solo in Italia ma nel mondo, di porre il design al servizio di un fare corporate image secondo un progetto del tutto fuori dagli schemi dove il product design accetta forme di ricerca parallele anche diverse tra loro e si rivela fin dagli anni Sessanta “organico” pur conservando collaborazioni “esterne” rispetto agli organigrammi dell’azienda.

Nel suo spazio di 400 mq la mostra, da non perdere, è anche un contributo al tema museografico su come esporre l’oggetto di design (ed in particolare macchine che hanno esaurito la loro funzione) utilizzando mezzi e modi non convenzionali per ampliarne l’orizzonte relazionale e immaginifico sottraendolo alla spesso limitativa presentazione fisica su piedistallo.

La civiltà tecnologica è talmente cinica che tende a guardare inesorabilmente avanti e non si occupa di salvaguardare gli stadi di sviluppo che hanno portato alle macchine contemporanee lasciando questo tema agli anfratti polverosi di qualche collezionista. Di fronte al rischio di vederli una volta per sempre mummificati i curtori della mostra hanno pensato, insieme con gli sceneggiatori Sara Chiappori e Renato Gabrielli, di trovare un espediente teatrale per restituire movimento agli oggetti-macchina, di dar loro almeno la voce per ri-contestualizzarsi e delineare i bordi storici entro i quali si sono mossi.

Gli oggetti-macchni si sono, così, ri-personificati attraverso attori che parlano di loro e per loro, dimostrando che queste macchni recitano una parte centrale nella seconda metà del XX secolo riprendendo il filo del discorso lasciato in sospeso tra Pirandello (che accusava la macchina di mercificare i valori) e D’Annunzio (che ne esaltava incondizionatamente la produttività).

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